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Mezz’etto di “lattima”, grazie!

Ovvero come imparare l’andaluso sorridendo

Non è difficile imparare lo spagnolo, ma è praticamente impossibile imparare l’andaluso soprattutto per chi, come me, confida nei testi di grammatica. Basta mezza giornata per capire che quello spagnolo parlato al corso poco serve nelle vita reale sivigliana. Il primo segnale l’ho avuto quando tutta allegra e sicura di me mi sono presentata a una classe di pulci di poco più che sei anni e dopo un quasi monologo di 10 minuti in spagnolo un bambinetto alza la mano e mi dice: Signorina, ma lei è del nord?. Del nord? Del nord de che? Il secondo segnale è arrivato durante una lezione di musica quando una bimba angelica mi ha detto: Signorina, ma l’italiano è uguale allo spagnolo! Sforzi vani e inutili dato che non avevo detto una sola parola in italiano.

La difficoltà più grande però non è farmi capire ma capire quello che il mondo mi sta dicendo. Nessuno mi aveva detto di questa tendenza totalmente andalusa di mangiare le esse, le d intervocaliche in ultima sillaba e di creare crasi fantastiche tra due parole distinte che fanno un baffo ai migliori poeti della tradizione. E così mi sono trovata a fantasticare sulla parola “lattima”. Ma che sarà poi questa “lattima” che tutti invocano? Un luogo? Una divinità? Una marca di jamón? El jamón de Lattima, el mejor de toda Andalucia!

Fu Google a darmi un aiuto, come sempre: Non starai mica cercando lastima?? Eh già, la esse mangiata! E così imparai la traduzione perfetta al mio stato d’animo quando il bambinetto di turno alza la mano per dirmi: Signorina, non si è capito proprio niente! Uff, povera me!!! 

Un crucero al Parque

Continua lo scontro con la lingua spagnola che sempre più spesso mi colpisce e affonda. Oramai però una certa qual spavalderia mi contraddistingue a tal punto da farmi rispondere al telefono di casa CruzCampo.

Lascio perdere il “pronto?” tipicamente italiano e mi affido a un più professionale “digame?” o “sìì??”. Bene, l’altro pomeriggio ero sola in casa erano appena le sei, mi ero alzata dai 10 minuti canonici di siesta e mi ero messa a scribacchiare al computer la mia lezione di domani quando… suona il telefono! Sicura e con passo spedito rispondo:

”Digame?”. Era la madre della mia coinquilina C., e dopo essermi identificata e averla salutata le dico che C. non c’era, era uscita con i suoi colleghi per fare il crucero.

La sento un po’ sorpresa, ma mi risponde comunque allegra: ”Oh che bello, un crucero? Ma dove?”

Io continuo: “Ma al Parque de Maria Luisa, dove va sempre con i suoi colleghi! E’ uscita poco fa, credo torni per cena.”

Lei: ” Un crucero al parque? Davvero? Ma sul fiume??”

Io: “Ma no non credo, credo sia al parco su una panchina. E’ uscita con la cesta con la lana e con tutto il necessario.” Ok, la signora madre di C. a questo punto ha chiaro un solo concetto: sta parlando con una matta, ma non me lo fa notare mi saluta e riattacca.

Tranquilla torno al mio computer e all’improvviso un flash: ho detto alla madre di C. che sua figlia è andata a fare una crociera al parco su una panchina con un cestino pieno di aghi e lana. Per la cronaca volevo dire punto e croce.

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I falsi amici esistono anche a Sevilla: parte II

L’idea di portare Venezia e le mascherine colorate del carnevale italiano ha avuto un successone a scuola. L’esecuzione è molto semplice: cartoncino, colori e brillantini, e carta velina colorata per fare il velo.

Le maestre mi chiedono quale e come debba essere il materiale, e io, sicura del mio spagnolo mi lancio nella descrizione. Se non che l’aggettivo “colorado” (colorao in Andaluz) in spagnolo non significa “colorato”, ma “rosso”.

E quando mi sono trovata una quantità industriale di cartoncino e carta velina tutti di un unico colore, rosso, quando io stessa avevo più volte specificato tutto “colorados” non sapevo che pesce pigliare: che volessero fare, per onore di gloria, mascherine tutte della squadra di calcio del Sevilla???  Se solo avessi studiato un po’ meglio lo spagnolo!

Quando il vocabolario sbaglia

Porto con me sempre in tasca un vocabolario italiano-spagnolo, così ieri quando i professori mi invitarono a pranzo in un posto dove a detta loro si mangiavano le migliori “gambas” della città, ho subito tirato fuori il mio dizionario.

Gamba, cavalletta. Basita, stupita e schifata, non sapevo come fare. Erano tutti felici delle loro “gambas” che non me la sentivo di dire loro che mi faceva rabbrividire solo l’idea.

Quando, finalmente a sedere, il cameriere ci porta il piatto di gamberetti sotto sale e scopro che sono quelle le famose “gambas”, tiro non uno, ma un monton di sospiri di sollievo… Dannato vocabolario!

Un rapporto conflittuale con l’elettronica

Ho un cellulare antenato del blackberry, anzi no, avevo.
Vederlo planare rovinosamente al suolo dall’alto di tre rampe di scale mobili della metro è una sensazione che auguro a tutti. La tensione di correre come una matta per le scale scansando la gente, che ovviamente se la ride, con la speranza che il tuo finto blackberry sia ancora funzionante è qualcosa di veramente unico.

Il cellulare ovviamente è da buttare. Però io ci tengo alle mie cose e non l’ho ancora buttato, l’ho conservato nel cassettino del comodino. E proprio questa mattina, quando potevo dormire beatamente (a Siviglia il sabato è un giorno di festa) il cellulare ha deciso di suonare. Sì, alle otto e mezza ecco che è partita la sveglia: l’ultimo gemito prima di morire.

I falsi amici esistono anche a Sevilla!

Per non passare circa tre quarti d’ora davanti agli scaffali dell’olio al supermercato, chiedendosi perchè in Spagna non usino l’olio ma l’aceite, è bene sempre tenere in tasca un piccolo dizionario. Ecco, io non l’ho fatto!

Se solo avessi avuto un dizionario avrei prontamente scoperto che aceite è l’olio d’oliva, mentre il vinagre è il nostro aceto. Avrei così risparmiato di sbuffare inutilmente e guadagnato tempo sulla spesa…